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Languishing: l’emozione del 2021
14/06/2021
Ormai sono mesi che ci sentiamo un po’ giù, un po’ affaticate, un po’ così… Non è burnout perché l’energia c’è ancora. Non è nemmeno depressione perché un briciolo di speranza la conserviamo ancora nei nostri cuori. Si chiama languishing, una sorta di mestizia stagnante e una sensazione di arrancamento nebbioso, e potrebbe essere l'emozione dominante del 2021.
Il termine languishing è stato coniato Corey Keyes, un sociologo che è rimasto colpito dal fatto che molte persone non depresse in ogni caso mostravano segni di malessere.
Il languishing è una condizione intermedia tra uno stato di benessere e il senso di svuotamento della depressione. Non ha sintomi di malattia mentale (pur potendone essere un fattore di rischio), ma non è nemmeno il ritratto della salute.
Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania, lo descrive come “un senso di stagnazione e di vuoto. Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”.
Significa sentirsi di non stare funzionando a pieno regime. Il languishing attenua la tua motivazione, riduce la tua capacità di concentrazione e aumenta le probabilità di lasciare andare il lavoro. Il fatto è che potresti non notare subito l'attenuazione delle emozioni positive, né che stai perdendo via via spinta e che ti rifugi nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza. Il problema è che, quando non si vede la propria sofferenza, non si cerca aiuto.
Abbiamo ancora molto da imparare su quali sono le cause del languishing e su come tenerlo sotto controllo, ma in psicologia clinica una delle migliori strategie per gestire le emozioni è di nominarle e parlarne senza timori. Utilizzare la vastità del nostro vocabolario per descrivere stati interni ed esterni ci potrebbe aiutare a rischiarare la finestra da cui guardiamo e fornirci una visione più lucida su quella che era stata un'esperienza sfocata.
Allora cosa possiamo fare al riguardo? Il concetto del “flow” può essere un antidoto al languishing.
Con flow ( = flusso) s’intende quello stato di piacevole abbandono quando ci sentiamo assorbite da qualcosa in maniera tanto intensa che perdiamo il senso del tempo, del luogo e del sé.
Infatti, nei primi tempi della pandemia, il miglior fattore di protezione per il benessere non era l'ottimismo, era proprio questo senso di “flow” con cui le persone si immergevano sempre di più nei loro progetti o nelle cose che amavano fare. Una lettura lunga e serena del giornale al mattino, un'abbuffata di Netflix la sera, una passeggiata col cane… sono tutte esperienze che possono trasportarci nel “flow”.
Inoltre, una delle sfide più grandi che la pandemia ha portato con sé è stata quella del confinamento in casa. Per tantissime persone questo ha significato dover riempire un unico spazio con diversi compiti e diverse figure, perdendo via via i confini ed il senso del ritmo. Nell’arco di 24 ore alcune di noi dovevano accendere il computer per presenziare a una riunione, magari in muto e senza video perché nel frattempo c’erano i bambini da mettere in DAD e durante la giornata dover cambiare attività ogni 10 minuti, perché c’erano troppe cose insieme nello stesso tempo e luogo.
Forse è stato un buon allentamento per diventare esperte di multitasking, ma se l’attenzione è troppo frammentata, diventa nemica della concentrazione.
Quindi, ricordiamoci che è fondamentare stabilire per noi stesse dei confini ben precisi. E soprattutto, concedersi un po’ di tempo senza interruzioni per trovare conforto in quelle esperienze che riescono a catturare la nostra piena attenzione.
Ciò significa ritagliarsi del tempo ogni giorno per concentrarsi su un’esperienza che conta per te: un progetto interessante, un obiettivo utile, una conversazione significativa. A volte è un piccolo passo per riscoprire un po' dell'energia e dell'entusiasmo che ti sei persa in tutti questi mesi.
Ricordiamoci, infine, che non esistono solo le malattie fisiche ma anche quelle mentali, che tuttavia ancora oggi sono facilmente stigmatizzate dalla società. Le malattie mentali, però, non sono solo nelle nostre teste, ma riguardano il mondo attorno a noi. Sempre. Non sono le etichette diagnostiche a dirci se una persona sta male. Quindi, mentre ci dirigiamo faticosamente verso una nuova realtà post-pandemia, è tempo di ripensare alla nostra comprensione della salute mentale e del benessere per meglio capire come stare meglio con noi stesse e con gli altri.